EventiL'eredità del Male passa ai nipoti. L'importanza della creazione di un museo
di Aldo Astrologo
Roma, Teatro il Vascello a Monteverde, alla presenza di centinaia di “ospiti“ si è svolta una serata che potremmo definire “ commovente”. Invitati, infatti, gli ex deportati, i loro figli, i loro nipoti e persone che - già nate all'epoca anche se non deportate - avevano una storia che poteva essere significativa.
Il tema principale è il racconto dei sopravvissuti: spesso, coloro che avevano subito direttamente o indirettamente la persecuzione razziale, non parlavano con i figli ma si aprivano ai nipoti.
Praticamente per anni non erano riusciti a parlare di quei tragici avvenimenti; questo era dovuto al fatto che non venivano creduti, che erano presi per matti o ritenuti "scocciati" (molto provati) o più semplicemente non volevano rinnovare il dolore.
Verso i nipoti, invece si sentivano più aperti, più disponibili e molti, dopo anni, hanno sentito il bisogno di dare testimonianza di quel che era loro successo, per insegnare e cercare di evitare il ripetersi di tali tragedie.
Il problema, come è stato sottolineato, non è per la conoscenza di noi ebrei perché noi queste cose le abbiamo subite, ma per gli “altri” che devono sapere cosa è successo e vedere dove la malvagità dell'uomo può arrivare.
Per questo si deve allestire il museo della Shoà e coloro che pensano di avere documenti che possono essere utili dovrebbero consegnarli – almeno in fotocopia - per fornire il loro contributo al miglioramento del progetto e delle testimonianze storiche.
Questo è stato l'invito di Pezzetti che ha presenziato la serata e introdotto alcune tematiche. Tra le varie testimonianze postume raccontate dai figli e dai nipoti, una è stata particolarmente toccante: quella di un “nonno” che per tanti anni non ha mai baciato la nipotina e non l'ha mai voluta tenere in braccio. Non si capiva il perché finché un giorno ha raccontato che al campo di sterminio aveva assistito ad una scena: davanti a lui, ad un altro deportato, un nazista indicando un bambino aveva ordinato: lancialo. Il deportato fu costretto a prendere il bambino e lanciarlo in alto. Era per fare TIRO A SEGNO, cioè sparare al bambino in aria. La cosa si ripeteva ogni tanto e quel “nonno” è rimasto così traumatizzato da non voler-una volta libero- più toccare un bambino. Solo al matrimonio della nipote l'aveva baciata in fronte.
Questa ed altre storie, di ebrei venduti, di ebrei salvati, di famiglie smembrate hanno reso il pubblico interessato e compartecipe.
La considerazione finale è stata che, per la diminuzione del numero e per l'età, i deportati, ad un certo punto non potranno più andare nelle scuole o nei “campi” a testimoniare ed allora dovranno essere i figli o i nipoti a continuare la loro opera meritoria con altri metodi.
Sempre che il mondo voglia capire.
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