Alcuni dati interessanti sulle deportazioni nazifasciste in Italia

StoriaAlcuni dati interessanti sulle deportazioni nazifasciste in Italia

di Alessandra Boga

Italiani che denunciarono altri italiani tra il 16 ottobre 1943, giorno del rastrellamento del Ghetto di Roma da parte dei nazisti, e il maggio dell’anno successivo. Questi “altri italiani” denunciati avevano la sola “colpa” di essere ebrei. I nomi dei loro delatori sono ora a disposizione degli studiosi presso gli uffici della Comunità ebraica romana e presto verranno raccolti in un libro, edito da Viella. La ricerca, dal titolo “Dopo il 16 ottobre 1093. Gli ebrei a Roma: occupazione, resistenza, accoglienza e delazioni (1943 – 1944)”, è stata curata da Silvia Haia Antonucci e Claudio Procaccia, da tutto lo staff della Comunità Ebraica di Roma con la collaborazione dello storico Amedeo Osti Guerrazzi assieme al demografo dell’Istat Daniele Spizzichino, che hanno reperito documenti dall’Archivio Storico della Comunità romana, consultato il “Libro della Memoria” scritto da Liliana Picciotto e fatto compilare 250 questionari a persone scampate alla Shoah per avere informazioni sui parenti deportati. L’iniziativa è stata del presidente del Museo della Shoah, Leone Paserman.

È una lista tragicamente interessante quella dei delatori, anche perché annovera anche l’ebrea Celeste Di Porto. Su 13 mila ebrei presenti nella Capitale, millesettecentosessantanove finirono nei campi di concentramento: 1.022 solo sabato 16 ottobre e 747 nei mesi successivi, tra ebrei romani e residenti a Roma. Soltanto una novantina riuscì a tornare.

Il 16 ottobre vennero catturati soprattutto giovanissimi, donne e anziani. Gli uomini scapparono, credendosi unico obiettivo del rastrellamento, ma soprattutto i giovani tra i 20 e i 35 anni vennero catturati nei mesi successivi. Avevano il compito di cercare cibo per sé e per la propria famiglia e spesso non avevano nulla da scambiare.

Nella stragrande maggioranza dei casi, fa sapere Osti Guerrazzi, i 747 ebrei furono presi a causa della delazione di altri italiani. Quelli accertati furono 383, ma sicuramente ve ne furono di più. Oggi è noto dove e quando furono arrestati, i nomi dei loro delatori e la sorte di questi poveretti.

Le spie erano singoli o vere e proprie bande che facevano le “soffiate” dietro compenso dei tedeschi. Otto di esse consegnarono 80 persone. Si spacciavano per avvocati per convincere i detenuti a fornire i nomi dei parenti, poi a “parlare” c’erano anche portieri, ex fidanzati e vicini di casa. Spesso si vendevano gli ebrei per soldi, vista la tremenda situazione economica di Roma all’epoca. Ecco il macabro “listino prezzi” del comandante dell’SD (servizio segreto dell’SS) e della Gestapo a Roma, Herbert Kappler: vendere un uomo significava guadagnare 5 mila lire, una donna 3 e un bambino 1.500 lire. Poi gli arrestati venivano torturati da personaggi come il famigerato capitano Erich Priebke, vero braccio destro di Kappler.

Quanto emerge dalla ricerca – commenta su La Repubblica Fabio Perugia, portavoce della Comunità ebraica romana – dimostra che le responsabilità italiane nella Shoah del nostro Paese furono maggiori di quanto fino ad ora credessimo. Se è vero che tanti hanno salvato, moltissimi hanno collaborato”.

Lo stesso studio considera anche i sopravvissuti allo sterminio l’80% dei quali si salvò a Roma e dintorni. L’83% venne nascosto in case private (ovviamente in modo gratuito), mentre dispiace rilevare che il 56% di coloro che si rivolsero a strutture religiose cattoliche fu costretto a pagare e il 4% si offrì di lavorare in cambio dell’ospitalità. Un migliaio di persone arrivò a convertirsi al cattolicesimo per sfuggire alla persecuzione.

Inoltre, dall’indagine è emerso che i partigiani ebrei non furono appena una decina come si pensava, bensì 60. Ma se ne parlerà più diffusamente in una ricerca successiva.

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