LibriVita ebraica a Fossano dal Cinquecento al Novecento
di Elena Lattes
Fossano è un piccolo comune del Cuneese che conta poco meno di 25 mila abitanti dove per diversi secoli vi è stata una comunità ebraica minuscola numericamente (con una media di circa 130 persone e un picco massimo di 250), ma molto importante dal punto di vista sociale, economico e culturale.
Nel 2010, grazie all’iniziativa della Fondazione Sacco che lo pubblicò e alla Cassa di Risparmio della cittadina piemontese che ne finanziò la stampa, uscì “Vita ebraica a Fossano dal Cinquecento al Novecento” a cura di Luciano Allegra, Agnese Cuccia e Sarah Kaminski.
Trecento pagine, circa, che hanno il grande merito di strappare dall’oblio documenti, persone e storie rilevanti anche nel quadro nazionale.
A Fossano nacquero e crebbero, infatti, alcuni influenti personaggi, come per esempio Salvatore Sacerdote, avvocato, consigliere provinciale e sindaco, inventore dei sonetti logogrifi. Una passione, quest’ultima, che gli valse una collaborazione con il Corriere della Sera, tanto che il quotidiano gli dedicò una “rubrichetta di giochi inventata si può dire per lui e intitolata ‘Per passare il tempo’”. I suoi sonetti erano intrisi di letteratura italiana, cultura patriottica (d’altronde si parla di fine ‘800, quando l’emancipazione portò moltissimi ebrei a dedicarsi attivamente alla costruzione e allo sviluppo del nostro Paese) e reminiscenze delle tradizioni ebraiche. Un’altra figura interessante, a cui è dedicata qualche pagina, è Temistocle Jona, musicologo e sportivo, nonché titolare della cattedra di chimica all’Università di Pavia, poi espulso a causa delle Leggi razziali, nonostante avesse prestato onorevole servizio nel Genio come capitano di complemento. O ancora, Salvador Norzi, imprenditore e banchiere il quale, fra i tanti incarichi che ebbe, nel 1773 si aggiudicò “l’appalto per la fornitura di carne dei macelli dell’intera città”
Fossano era poi uno dei tre comuni che mantenne, insieme ad Asti e Moncalvo, un rito sinagogale di origine franco-provenzale osservato in particolare nelle ricorrenze autunnali del Capodanno e del Kippur, che ha (o meglio aveva) elementi in comune con il rito ashkenazita, denominato Apam (acronimo delle tre cittadine). Un rito che arrivò molto probabilmente con gli ebrei espulsi da Carlo VI nel 1394 che non sopravvisse altrove e che ormai è scomparso, anche in Italia, insieme alle tre comunità.
A proposito di tradizioni religiose, anche i contratti matrimoniali (in ebraico “ketubot”, contenenti gli obblighi dello sposo nei confronti della consorte) in Piemonte – e dunque anche a Fossano – erano diversi dai documenti analoghi di altre regioni italiane per “la scelta stilistica di non utilizzare l’arco architettonico come cornice (…), ma di servirsi di un semplice contorno geometrico. Inoltre spesso le decorazioni piemontesi ricordano i colori e le trame dei tessuti e delle stoffe diffusi in epoca moderna.”
Con la società circostante le relazioni non furono sempre facili: risalgono al 1684 le prime attestazioni scritte delle prediche missionarie contro gli ebrei e della richiesta ufficiale di confinarli in una zona ristretta, il tutto accompagnato dai classici stereotipi purtroppo presenti un po’ ovunque anche oggigiorno. “Solo” nel 1724, però, le autorità, sotto l’ormai ineludibile pressione clericale, istituirono il ghetto che venne abbattuto nel 1848 con lo Statuto Albertino. Alle persone in carne e ossa fu quindi vietato di abitare in altre aree della città, ma paradossalmente l’usanza comunale di affiggere alle pareti degli edifici i ritratti dei benefattori locali durante la festa patronale, comprendeva e comprende tuttora, alcuni ebrei. Nonostante i tentativi di separazione, i rapporti con i cristiani non vennero mai a mancare e l’unico tentativo di aggressione collettiva contro la comunità fu fermata in tempo dall’arrivo delle truppe francesi nel 1796. Molti fossanesi, però, furono deportati nei campi di sterminio nazisti dai quali non fecero più ritorno, ma d’altro lato la città annovera quattro “Giusti tra le Nazioni” che si adoperarono per salvare le vittime dallo sterminio: madre Maria Angelica Ferrari, superiore dell’Istituto San Domenico, la famiglia Grasso e Lorenzo Perrone, il muratore del “burguè” che aiutò Primo Levi.
Al momento dell’emancipazione a Fossano vi erano tre sinagoghe, l’ultima delle quali venne smantellata circa sessant’anni fa e i suoi arredi furono portati a Torino. Attualmente rimane, come unica testimonianza tangibile, il cimitero con circa una trentina di lapidi.
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