LibriUn momento di eternità
di Elena Lattes
Se non il più importante è sicuramente uno dei pilastri dell’Ebraismo: lo Shabbat, ovvero l’osservanza del sabato. Di cosa si tratta esattamente? E soprattutto perché è così importante?
Benjamin Gross, che è stato direttore del Dipartimento di Filosofia ebraica e preside della Facoltà di Lettere e Scienze umane all’Università israeliana Bar-Ilan, e che è deceduto nel 2015, ha spiegato in “Un momento di eternità” pubblicato recentemente dalle Edizioni Dehoniane, il significato e soprattutto il senso di questa osservanza nella nostra società moderna, anche in quella non ebraica.
La suddivisione temporale, si sa, è data dalla cosmologia: l’anno corrisponde circa ad un giro della terra intorno al sole, il mese è determinato dalla rivoluzione lunare intorno alla terra, mentre il giorno è il tempo che impiega la terra a girare su se stessa. La settimana è un’eccezione a tutto questo, poiché non corrisponde ad alcun fenomeno astronomico, tant’è che in antiche civiltà come quella egizia o assira la suddivisione era di dieci, nove o cinque giorni. È nel Pentateuco che viene introdotto questo arco temporale. La prima volta in Genesi, al momento della Creazione: “ così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Elokhim, nel settimo giorno, portò a compimento la sua opera che aveva fatto e si ritrasse (…) benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso egli si ritrasse da ogni sua opera che egli aveva creato”, mentre il sabato, benché menzionato più volte, occupa il posto più rilevante nelle due versioni dei Dieci Comandamenti, in Esodo e poi in Deuteronomio. Che differenza c’è tra la prima e la seconda versione delle due Tavole? La diversità più consistente è proprio nel quarto comandamento: ci si deve ricordare dello Shabbat, perché perfino la Creazione divina si è fermata nel settimo giorno. Nella seconda, in Deuteronomio, il popolo ebraico deve osservare (e santificare il settimo giorno), poiché è stato schiavo nel paese d'Egitto “e l'eterno tuo D-o ti ha fatto uscire con mano potente e braccio teso”. Dunque, “ricorda” e “osserva”, “creazione” e “libertà”, “natura e storia”, ovvero “memoria mediante la mente e custodia mediante le azioni, perché ogni santificazione esige un impegno totale dell’essere, corpo e anima. Inoltre, zakhor (ricorda) corrisponde a un atteggiamento positivo, dinamico, e shamor (osserva) a un principio passivo, che si manifesta mediante l’astensione da ogni lavoro.” Il sabato è anche l’espressione di un’esigenza di giustizia sociale e di uguaglianza, come viene suggerito nel Levitico: “perché il tuo servo e la tua serva si riposino come te”. L’osservanza del sabato, tuttavia, non consiste soltanto o propriamente in una sosta del lavoro, ma è la presa di coscienza di una parte essenziale della spiritualità intrinseca nell’essere umano.
Anche i numeri nell’ebraismo hanno la loro rilevanza: essi “non designano solo un dato quantitativo, ma comportano anche una valutazione qualitativa (…) il numero sei si riferisce al supporto fisico dell’universo, all’ordine materiale del mondo, mentre il numero sette è connesso alla dimensione metafisica che lo supera e da cui trae la sua origine: esso designa sempre una totalità. Il settimo giorno completa i sei giorni dell’opera e li unifica per formare l’entità ‘settimana’”. Il sette è un numero ricorrente, si pensi per esempio alla menorah, il candelabro dove le tre luci per ogni lato sono “rivolte verso quella di mezzo, la settima, per illuminare tutte insieme e diffondere la luce della Torah” (il Pentateuco); oppure alla Festa della Pentecoste che ricorda la promulgazione dei dieci comandamenti e che cade sette settimane dopo la Pasqua; e ancora: all’anno sabbatico in cui la terra riposa, i suoi frutti sono lasciati ai poveri e alle vedove, i debiti vengono annullati e al “dopo sette volte sette (ovvero all’)anno giubilare in cui la società è chiamata a ‘proclamare la libertà sulla terra per tutti i suoi abitanti’”.
Ritornando alla centralità del sabato, Gross, spiega, contestualizzandola, la teoria di Avraham J. Heschel, secondo cui l’ebraismo è una religione del tempo “che ha rinunciato alla dimensione spaziale per non conservare che la dimensione temporale” e quella di Franz Rosenzweig che ha dato a questa concezione un’espressione estrema, caratterizzata da un certo romanticismo dell’esilio e dello sradicamento assoluto. Secondo lui, la specificità del popolo ebraico, e perfino lo stesso segreto della sua esistenza, consisterebbe nel fatto che l’eternità gli è assicurata grazie alla sua rottura da ogni legame con lo spazio”. Mentre per Gross, le due dimensioni, sono complementari poiché il tempo e lo spazio hanno una radice comune: “Dio è designato come maqom, colui che è il ‘Luogo’ del mondo”. Concetto che – spiega l’autore - ha ispirato anche Einstein: “la relazione spazio-tempo è concepita come un solo concetto unitario, che esprime le dimensioni differenti di una stessa realtà”.
La seconda parte del volume è dedicata ai “ritmi della liturgia dello Shabbat” in cui illustra i paragoni dello shabbat ad una fidanzata e ad una regina, le preghiere più importanti e la connessione tra questo giorno e la Provvidenza, la luce e il fuoco e la rivelazione della Torah. Conclude il tutto una ricca bibliografia che può aiutare l’approfondimento del tema.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare all’apparenza, questo libro non è destinato solo a filosofi o esperti di religione o antropologia culturale, ma anche a chi è semplicemente curioso di conoscere meglio alcuni aspetti del mondo ebraico da cui attinge, a livelli diversi, quasi tutta la cultura moderna.
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