LibriIl ponte di Istanbul
di Elena Lattes
Più di cinquecento anni fa, il sultano Bayezid II, sovrano di Istanbul, voleva costruire un ponte fisso per unire le due sponde del Corno d’oro, l’insenatura che la divideva dalla cittadina di Galata. Doveva essere dieci volte più lungo dei ponti tipici con una campata di 280 metri, anch’essa la più ampia dell’epoca. Per farlo, si rivolse a quello che era già conosciuto come un grande ingegnere, forse il più grande: Leonardo da Vinci. Il genio toscano gli propose il suo progetto: “largo 40 braccia, alto dall’acqua braccia 70, lungo braccia 600, cioè 400 sopra del mare e 200 posa in terra, faciendo di sé spalle a sé medesimo”, che però al sultano non piacque, così quel ponte non fu mai costruito. Cinque secoli dopo, gli ingegneri del Massachussetts Institute of technology, lo hanno vagliato: si sarebbe potuto fare, di pietra, con una sola campata – proprio come concepito da Leonardo - resistente anche ai terremoti. In Norvegia, inoltre, nei primi di novembre del 2001 inaugurarono a pochi chilometri da Oslo un ponte pedonale e con pista ciclabile in legno, basato sostanzialmente sullo stesso progetto e dichiarato, nel 2005, uno dei cinque ponti più belli del mondo.
La lettera scritta da Leonardo che partì da Genova nel luglio del 1502, recante quella proposta, che fu tradotta in turco e che è conservata negli archivi Topkapi Sarayi di Istanbul, è resa nota al pubblico italiano ed è stata fonte di ispirazione per Gabriella Airaldi, specialista di Storia mediterranea e di Storia delle relazioni internazionali, che ha pubblicato con la Casa Editrice Marietti “Il ponte di Istanbul”; un piccolo volume nel quale, dopo aver riportato i disegni e le spiegazioni del progetto, l’autrice spiega il contesto sociale, economico e storico in cui nacque l’idea del ponte.
Tra la fine del 1400 e gli inizi del ‘500 in Europa e, in particolare in Italia e nel Mediterraneo, ci sono grandi movimenti: le partenze alla ricerca di nuove terre, l’instabilità politica in tutta la Penisola, le città che passano facilmente e in breve tempo da una dominazione all’altra, la proliferazione delle tipografie (“tra il 1491 e il 1500 almeno la metà dei 14.777 testi stampati in Italia vede la luce a Venezia: nel 1500 sono in circolazione circa sessantamila mappe a stampa e le stamperie in attività sono duecento” e: “Circolano lettere e relazioni di viaggio, carte, portolani e immagini su cui lavorano intensamente i cartografi e su cui un uomo come Leonardo, curioso del mondo e desideroso di coglierne l’armonia in tutte le forme, non può non meditare. Si stampa la Geografia di Tolomeo, la Historia del nuovo mondo (…) Si stampa in tutte le lingue e si stampa di tutto”.); in breve, come è noto, si sta uscendo dal buio Medioevo e Leonardo, che è curioso di tutto ciò che lo circonda e molto intraprendente, è consapevole dei grandi fermenti e anche dei grandi cambiamenti che animano la sua epoca. Sia a Firenze che a Milano “è coinvolto in molte consulenze richieste ad architetti, ingegneri e matematici, come quella di completare il triburio del duomo...” La lettera al sultano, dunque, è una delle innumerevoli iniziative del genio fiorentino e, come spiega bene l’autrice, è rappresentativa dello “stretto rapporto tra Genovesi e Turchi, un rapporto assai più profondo e costante di quelli che gli ottomani hanno con qualsiasi altro interlocutore occidentale”. Altrettanto emblematici sono il linguaggio usato, ossequioso e sottomesso: “Lionardo infedele da Genova. Io vostro servo...” (laddove servo viene ripetuto più volte), e l’attribuzione delle proprie idee e dei risultati dei propri studi a suggerimenti divini. Leggendo il libro, che non è soltanto un piccolo compendio di storia, geografia italiana e del Mediterraneo nonché una sintetica biografia di Leonardo, si ha l’occasione per riflettere sulle guerre tra Cristianesimo ed Islam, sulle conquiste e sui successivi ritiri ottomani, ma soprattutto su come forse la pace si può cercare di raggiungere con accordi commerciali e scambi di competenze ed esperienze.
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