Magda

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di Elena Lattes

Moglie del famigerato ministro della propaganda nazista, Magda Ritschel (Johanna Maria Magdalena Ritschel), fu una figura inquietante, sia perché, con i suoi 6 figli avuti dal gerarca e per il suo impegno nella diffusione dell’ideologia, fu considerata il modello della “donna germanica di razza ariana” nonostante la sua precedente vita travagliata, sia perché ebbe il coraggio, negli ultimissimi giorni del regime, di distruggere totalmente la sua famiglia, uccidendo i 6 ragazzini e suicidandosi immediatamente dopo.

A dipingerne un ritratto è Meike Ziervogel, giornalista tedesca che vive in Gran Bretagna da oltre trent’anni, in “Magda” pubblicato nella versione italiana dalla Sovera Edizioni per la collana “Fiore di cactus”.

Il romanzo è suddiviso in diversi capitoli, ognuno dei quali rappresenta una fase della vita della donna: la prima riguarda la sua infanzia, trascorsa inizialmente con una madre di facili costumi incurante dell’educazione e del benessere psicologico della bimba e in seguito in un convento di educande che assomiglia di più ad un terribile e brutale carcere minorile. Nella seconda la protagonista è la mamma che a guerra finita racconta ad un poliziotto in un commissariato, i suoi rapporti con il primo marito (che l’ha ingravidata), con il secondo e con Magda. È una dei tanti genitori di dirigenti nazisti chiamati a render conto delle responsabilità che i loro congiunti hanno avuto nel genocidio. A differenza degli altri, però, ella parla molto e non giustifica né si dichiara all’oscuro del ruolo che la figlia, ormai morta, aveva avuto nel Terzo Reich. L’autrice la descrive come una donna anziana “che tira su col naso” e “con le lacrime agli occhi”, ma non tanto per il dispiacere o per qualche senso di rimorso, bensì per l’imbarazzo e il nervosismo, come se lei fosse una vittima del suo basso rango sociale, degli uomini, delle circostanze, ma soprattutto del carattere testardo e vendicativamente ambizioso della figlia. Una donna che vorrebbe parlare solo di se stessa attirando l’attenzione del commissario sulla sua persona e sulla sua vita e che coglie l’occasione per sfogare le proprie frustrazioni, ma che l’impassibile poliziotto richiama e riporta alle realtà più recenti e alle pesanti responsabilità della figlia.

La terza parte riguarda i rapporti di Magda con Goebbels e Hitler. Inizialmente affascinata e infatuata, diventa presto insoddisfatta, sentendosi umiliata dal consorte fedifrago e “donnaiolo”, ma trova consolazione presso il Führer (che considera una sorta di divinità paterna) che la incoraggia come se fosse la “sua bambina” e la convince a mantenersi fedele al marito per il bene “del popolo tedesco” per il quale deve sempre costituire un esempio da imitare.

La quarta e più corposa è rappresentata dai diari di Helga Goebbels, la primogenita, che sul finire della guerra è un’adolescente con tutti i suoi dubbi, le curiosità e le passioni tipiche dell’età. Benché si incentri negli ultimi giorni in cui l’intera famiglia si era rinchiusa nel bunker di Berlino, è il racconto forse meno tetro, in cui si intravede un briciolo di speranza innocente nutrito da Helga (che si innamora di un giovane soldato di stanza) e di giocosa spensieratezza del fratellino e delle sorelline. Stati d’animo, tuttavia, fortemente incupiti dai grossi sensi di colpa inculcati loro dai genitori e dall’atmosfera necrofila del nazismo, per i dubbi e le divergenze che i giovanissimi accennano sugli esiti imminenti della guerra e sull’ossessione per la condotta di una vita inflessibilmente austera.

L’ultimo capitolo, facente parte del romanzo, descrive l’ipotetica futura visione di Magda di se stessa e dei figli nel dopo guerra. Chiaramente la Goebbels proietta sugli alleati e sui sopravvissuti alla barbarie razzista, quella voglia spasmodica di vendetta e rivalsa che dev’essere stata tipica del suo carattere e di quello di molti nazisti. Ritorna, quindi, l’atmosfera di totale cupa decadenza in cui non c’è spazio, né dialogo tra i vincitori (e sfruttatori) e i perdenti.

Pur essendo un racconto immaginario, molti fatti storici sono riportati con cura. Probabilmente sono invece del tutto inventati, anche se non si escludono alcune aderenze alla realtà, i sentimenti, i pensieri e i dialoghi dei personaggi principali. Lo scopo dichiarato di Ziervogel non è quello di comprendere né tantomeno giustificare la follia omicida e devastatrice, ma quello di indagare alcuni meccanismi psicologici e le relazioni perverse e distruttive che possono occorrere a volte tra madri e figlie.

1 commento 

  • da anna ardissone bella recensione per un libro che merita, brava elena lattes e grazie

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