ArteFestival di fine giugno a Roma
di Elena Lattes
Dal 23 al 26 giugno scorso si è tenuta la diciassettesima edizione dell’Ebraica - Festival Internazionale di Cultura, in occasione del quale sono state organizzate una mostra e quattro serate all’insegna di letture, musiche, riflessioni, dibattiti e altro ancora.
Il titolo di quest’anno era “Visionari”, proprio come lo fu Theodor Herzl nel promuovere uno Stato per il popolo ebraico: “Se lo vorrete non sarà un sogno”, scrisse ne “L’antica nuova terra” nel 1902. Nella locandina e nel pannello che faceva da sfondo al palco – nel palazzo della Cultura che ospita anche le scuole - campeggiava la sua famosa immagine che lo ritrae affacciato al balcone dell’albergo a Basilea dove si tenne il primo congresso sionista nel 1897. Come ha spiegato, però, il presidente della Comunità di Roma, Victor Fadlun, nel popolo ebraico sono stati tanti i visionari, ovvero persone che, attingendo al proprio patrimonio storico e culturale, hanno saputo trovare spunti e soluzioni innovative. A questo argomento era dedicata anche l’esposizione composta da pannelli ritraenti alcuni fra gli israeliani che con le loro invenzioni o l’impegno nel sociale hanno migliorato la vita di milioni di persone. Basti citare, per avere solo un’idea, Uri Levin, uno dei fondatori di Waze, l’app usata per la navigazione satellitare e membro del consiglio di amministrazione di Moovit, un’altra app che fornisce in tutto il mondo orari e percorsi dei mezzi pubblici. Oppure Ruth Arnon, una degli ideatori di Copaxone, il primo farmaco approvato per il trattamento della sclerosi multipla e che ora sta studiando come curare l’Alzheimer.
Il primo incontro, la domenica, si è svolto fra Maurizio Molinari e Gennaro Sangiuliano. Il direttore di Repubblica ha parlato della cultura dell’innovazione, che si è spesso manifestata come punto di rottura (si pensi ad esempio a Dante che scrisse per la prima volta in italiano o a Steve Jobs con l’invenzione dell’I-phone). A differenza del passato, però, attualmente stiamo vivendo, una fase di accelerazione dove la velocità, fra l’altro, causa l’aggressione attraverso la diffusione di notizie false, le cosiddette fake news, che gridano, affossando le conoscenze, oscurando il ragionamento - per sua natura più lento – e gettando il seme della violenza (si pensi ad esempio al cyberbullismo). Il mondo attuale, prosegue Molinari - è diviso in tre modelli: da una parte gli Stati Uniti, dove vige un’eccessiva libertà, per cui tutto è permesso; dall’altra la Cina che ha centralizzato l’intero traffico dati in tre app completamente monitorate e controllate, e che censura tutto ciò che non è filogovernativo; una via di mezzo è l’Europa che cerca di stabilire dei criteri che garantiscano un giusto equilibrio fra libertà e rispetto, che permettano la protezione delle proprietà intellettuali e che vietino la violenza verso il prossimo. In questo l’Italia riveste un ruolo fondamentale, poiché è la patria della cittadinanza e oggigiorno la cittadinanza digitale, se ben regolata, può essere una grande opportunità che avvicina, riducendo i divari e valorizzando al contempo le diversità.
La stessa serata è proseguita con un dibattito fra lo psichiatra Raffaele Morelli e il rabbino Roberto Della Rocca dal titolo: “Immaginare un futuro in tempo di crisi: la profezia tra religione e psicologia” e incentrato sulla consapevolezza del sé, sull’unicità di ogni singolo essere umano e sulla concezione del tempo: lo psichiatra ha spiegato come dentro ognuno di noi c’è una profezia, un qualcosa che ci guida verso la nostra unicità. È per questo che dobbiamo allontanarci dall’omologazione e dalla frequenza eccessiva dei social network, i quali riducono le nostre individualità al numero di like o di followers. Dovremmo, invece, coltivare la creatività, concentrandoci sul presente e sul futuro e chiederci: “dove sto andando? Il cammino che sto facendo viene da dentro, da un lato misterioso, da qualcosa che non so cos’è? Allora è un buon cammino. Se invece viene dallo sforzo di essere accettato e approvato da chi ho intorno, allora sto inseguendo delle illusioni.” Idea confermata dal Rabbino Della Rocca che ha portato l’esempio del percorso che compie Abramo, quando esegue il comando divino “Lech lechà: andare via dalla propria terra e dal proprio ambiente familiare assume il significato di “andare verso se stessi”. Solo dopo la presa di coscienza della propria identità, si riesce a vedere l’Altro.
Nelle serate seguenti sono stati letti alcuni brani tratti dal libro di Elisabetta Fiorito, “Golda” e da quello di Gérard Journo, “Il dromedario bianco”. Pamela Villoresi, con la sua magistrale interpretazione dei monologhi interiori della prima ministra israeliana, ha ripercorso alcuni degli incontri più importanti che la statista ebbe con personalità di spicco italiane, come Aldo Moro, il Pontefice Paolo VI e Oriana Fallaci. La seconda lettura, effettuata da Ernesto D’Argenio, è il commovente racconto di un profugo dalla Libia, della sua infanzia a Tripoli e dell’inizio della sua adolescenza in Italia dove nel 1967 riuscì a salvarsi insieme ai suoi familiari fuggendo dai pogrom arabi.
Bellissime e altrettanto commoventi le perfomances musicali: dai canti sinagogali della tradizione romana eseguiti dal tenore Claudio Di Segni, dal Rabbino Alberto Funaro e da Sandro Di Castro al concerto di Raiz e il suo gruppo che ha alternato alle musiche ebraiche di origine sefardita (ovvero degli ebrei provenienti dai Paesi del Mediterraneo e dal Medio Oriente) e a quelle napoletane, alcune spiegazioni e riflessioni sull’origine di testi e melodie, nonché su alcune vicende personali e familiari.
Di notevole rilievo anche l’intervento di Litai Kiperman, responsabile del settore tecnologico del Centro Peres per la pace che ha spiegato la “ricetta” grazie alla quale un Paese così piccolo e senza risorse naturali è riuscito ad eccellere nella tecnologia e nelle start up. Israele, infatti, è al terzo posto, dopo soltanto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, come ecosistema propizio per questo tipo di imprenditoria innovativa. Tanti sono gli “ingredienti” della “magica ricetta”: il primo fra tutti è paradossalmente proprio la mancanza di risorse naturali: “se sei in un posto dove non c’è niente, non hai altra scelta che inventare e costruire cose nuove”. Un altro è la diversità: Israele ha accolto profughi e immigrati da ogni angolo del globo, ma il servizio militare unisce giovani di qualunque provenienza, sociale, economica, culturale ed etnica. Questa vicinanza e collaborazione, fa sì che le persone imparino a lavorare con tutti, indipendentemente dalle loro origini e dall’ambiente dove sono vissuti fino a quel momento, maturando così una mentalità aperta.
Il terzo “ingrediente” è la chuzpà, termine ebraico che in genere indica negativamente la faccia tosta e la spudoratezza. In questo caso, però, assume una connotazione positiva e sta ad indicare la tenacia e lo sforzo, la capacità di stringere i denti e andare avanti; in una parola sola la resilienza, per cui un fallimento non è visto come “un colare a picco”, ma come un’opportunità per imparare dai propri errori.
Un altro ancora, è l’informalità della società israeliana: scienziati e imprenditori sono persone “alla mano”, facili da avvicinare, molto collaborativi e impegnati in continui scambi di conoscenze sia fra di loro che con gli studenti di scuole e università e il flusso è anche nella direzione opposta: l’ambiente accademico trasferisce direttamente le conoscenze nelle aziende e infonde nei giovani la curiosità per questo tipo di attività. In questo clima si inserisce il Centro Peres che incoraggia lo spirito di iniziativa nelle zone periferiche e nei gruppi sociali svantaggiati, cercando di colmare i divari.
Infine Gabriella Greyson ha raccontato la storia di Hedy Lamarr, affascinante attrice hollywoodiana di origini mitteleuropee e geniale scienziata che inventò la tecnologia alla base del wireless, grazie al quale noi oggi possiamo utilizzare smartphone, bluetooth e GPS.
Domenica 23 giugno sempre a Roma, si è anche tenuto l’ottavo festival dell’Esperanto, organizzato dall’Esperanto-centro “Luigi Minnaja”. Dopo una breve visita nella zona fra l’Aventino e il Palatino, il gruppo è entrato nel Monastero delle Suore Calmadolesi che ha ospitato il cordiale incontro, durante il quale insegnanti ed allievi hanno tenuto brevi conferenze nella lingua inventata da Zamenhoff sui più disparati argomenti (a scelta di ogni singolo oratore), spaziando dalla poesia, alla scienza, alla musica e alla storia. Ha concluso l’evento un’asta di oggetti pagati con le attività esperantiste.
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