I palestinesi preferiscono investire in Israele invece che nell'economia dell'Autorità Palestinese

CuriositàI palestinesi preferiscono investire in Israele invece che nell'economia dell'Autorità Palestinese

di Alessandra Boga

Su “Haaretz” scrive è comparso è stato pubblicato un articolo secondo il quale gli investimenti di privati palestinesi in Cisgiordania sono stati di 1, 5 milioni di $ nel 2011 in confronto ad almeno 2, 5 milioni di $ in Israele. Ne scrive, in particolare, Amira Hass, naturalmente dando la “colpa” agli israeliani per la presunta “limitazione di movimento”, dimenticando di dire che i territori sono governati dall'Autorità Palestinese e non da Israele ed entrando palesemente in contraddizione quando afferma che invece il movimento palestinese verso Israele c'è.


 

Tuttavia questa è una grande novità poiché smentisce quanto viene affermato dalla maggioranza dei detrattori di Israele secondo i quali i palestinesi morirebbero di fame (se hanno da investire, hanno anche potuto risparmiare e se hanno potuto risparmiare, vuol dire che almeno il necessario non manca) e Israele costituirebbe soltanto un danno per l'economia palestinese.


 

La preferenza per gli investimenti in Israele emerge dalla tesi del master in economia, discussa dal giordano Issa Smeirat, 43 anni, presso l’Università Al-Quds di Abu Dis. I 2, 5 milioni di quest’anno hanno potuto creare circa 213.000 posti di lavoro per i palestinesi stessi.


 

Secondo i risultati dell’indagine, nelle aree palestinesi della Cisgiordania, circa 16.000 uomini d’affari ricevono permessi permanenti per entrare in Israele e hanno potuto fondare compagnie e varie aziende sia nello Stato ebraico, sia nelle zone industriali degli insediamenti ebraici del West Bank. Perciò questi imprenditori palestinesi pagano le tasse in Israele.


 

Si tratta di un fatto politicamente molto interessante, che ha sorpreso attivisti politici e sociali palestinesi, dal momento che da sette anni sono frequenti gli appelli a boicottare Israele o i prodotti degli insediamenti. Perciò Smeirat ha deciso di mantenere tali investitori palestinesi (ne ha contattati 540) nell’anonimato per motivi di sicurezza.


 

Tuttavia anche secondo il Ministero dell’Economia Nazionale palestinese, che ha lanciato le campagne di boicottaggio anti-israeliane, l’accordo di Parigi, siglato tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), non proibisce gli investimenti nello Stato ebraico e negli insediamenti.


 

Il dottorando in economia Smeirat ha somministrato dettagliati questionari a 420 di essi, ricevendo 374 risposte e ha incontrato personalmente 120 investitori per intervistarli.


 

La maggior parte di essi conosce l’ebraico (solo lo 0,5% afferma il contrario), parla l’inglese come seconda lingua e più della metà è over 40. Il livello di scolarizzazione degli investitori palestinesi è in genere basso: la metà di coloro che hanno risposto al sondaggio, ha studiato solo 12 anni, mentre il 28,1% è andato all’università.


 

Si tratta, spiega Amira Hass, della generazione cresciuta quando Israele permetteva quasi libertà di movimento di palestinesi al suo interno (fino agli inizi degli Anni Novanta) e quando c’era una familiarità con lo Stato ebraico maggiore rispetto a quella che c’è con i giovani palestinesi di oggi.


 

Gli attuali investitori palestinesi lavoravano già in Israele, prima di mettersi in proprio, e molti degli intervistati hanno dichiarato di aver investito il loro denaro solo in Israele e negli insediamenti e quasi il 90% di essi hanno riferito che la loro prima esperienza di investimento è stata proprio in Israele.


 

In quali attività si sono dati maggiormente da fare? In quella industriale e nelle attività di costruzione. Per la precisione il 45% è dedito alle infrastrutture e il 38% nel costruire case, per un investimento annuale più o meno pari a 100,00 $. Il 13, 9% ha investito da 6 milioni di $ in su.


 

Gli investitori provengono soprattutto dall’area di Hebron, da Ramallah, da Nablus, da Betlemme e solo 1000 sono gli arabi del Governatorato di Gerusalemme Est. Ciò, sottolinea la Hass nel suo articolo, indica un processo di impoverimento degli arabi di Gerusalemme Est sotto il controllo israeliano. Fatto sta che, libertà di movimento o meno, controllo israeliano o meno, numerosi palestinesi ed arabi-israeliani hanno trovato lavoro fatto affari nello Stato e negli insediamenti ebraici: nonostante qualsiasi boicottaggio.


 

 
 
 

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