CronacaI "senza se e senza ma" a senso unico (alternato)
di Elena Lattes
Secondo l’Accademia della Crusca, una delle prime volte in cui comparve fu nel lontano 1907, ma per quasi un secolo vide un uso molto sporadico. Soltanto nel 2003, con la seconda guerra del Golfo infatti, la locuzione “senza se e senza ma” diventò di moda come slogan adoperato dai “pacifisti”. Grazie all’amplificazione mediatica, la sua diffusione fu così capillare che nel 2011 l’enigmista Stefano Bartezzaghi la inserì nel suo “Non se ne può più. Il libro dei tormentoni” (ed. Mondadori), Dieci anni più tardi, in occasione della “Giornata Internazionale della Pace” le venne perfino dedicata una filastrocca per bambini che, alla fine, recitava così: “«Senza se e senza ma»/contro ogni ostilità/sarebbe l'ideale,/nel villaggio globale,/un modo radicale,/per opporsi alla guerra:/«senza se e senza ma/la guerra non si fa! ».
Per circa vent’anni, dunque, l’abbiamo sentita o letta decine di migliaia di volte (se non anche di più), ma è qualche mese che sembra improvvisamente scomparsa, totalmente dimenticata. Dal 7 ottobre, scorso, infatti, i “ma” sono proliferati in maniera sempre più esponenziale: le violenze perpetrate dai terroristi di Hamas su civili innocenti, donne, anziani e bambini di diverse nazionalità, hanno ricevuto in questi mesi e ricevono tuttora condanne sempre più parziali, dubbiose, condizionate. In famose Università anglosassoni e in consessi internazionali, politici, insegnanti e rettori si sono pubblicamente rifiutati di stigmatizzarle, rispondendo che la loro riprovazione “dipende dal contesto”.
Nei social ci si può facilmente imbattere in discussioni accese, dove, soltanto dopo forte sollecitazione, l’”equilibrista” di turno scrive: “Quello che ha fatto Hamas è terribile, MA Israele….”. Quando si chiede al proprio interlocutore se Israele ha il diritto di reagire e combattere il terrorismo, ci si sente rispondere (sempre dai non irriducibili, ovviamente): “Certo che può difendersi, MA non in questo modo” (dimenticando quasi sempre di dire quale sarebbe il modo giusto o suggerendo azioni utopiche). A questa critica seguono spessissimo affermazioni nelle quali vengono riportati dati forniti da Hamas e da una parte consistente dei media arabi, come se fossero fatti accertati e fonti affidabili.
Questo modo di porsi verso il conflitto è talmente diffuso e, verrebbe da dire quasi automatico, sempre uguale a se stesso, proprio come un mantra, che non può non suscitare qualche perplessità.
Sicuramente sarà una mia lacuna, ma finora non mi è mai capitato di incontrare un ragionamento opposto: “Non sono d’accordo con quello che fa Israele, MA ciò che ha fatto Hamas non ha giustificazioni”, oppure: “I Palestinesi hanno diritto al loro Stato, MA le loro violenze sono inaccettabili”. Ovvero, dove è la condanna di Israele ad essere dubbiosa a fronte di una solidarietà incondizionata per le sue vittime.
Dunque, da una parte quando si tratta delle reazioni degli Stati Uniti (e/o della Nato), l’opposizione non lascia dubbi, è inequivocabile e insindacabile. Se, invece, si chiede una condanna del terrorismo e del fondamentalismo arabo, i “se” e i “ma” ritornano in auge.
Non c’è un po’ di ipocrisia in tutto questo?
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