CronacaI precedenti della mattanza del 7 ottobre nel sud di Israele
di Elena Lattes
La carneficina perpetrata dai terroristi di Hamas il 7 ottobre scorso è nuova soltanto nella vastità e nell’organizzazione dell’attacco, ma non nella ferocia e nella sua carica distruttiva. Se andiamo a ripercorrere la storia degli ultimi decenni, oltre ad innumerevoli attentati volti a dilaniare i civili proprio nei momenti di maggiore fragilità, negli incontri pacifici, nelle festività religiose (si pensi alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, a Maalot nel 1974, a Roma nel 1982 e nel 1985, al Delfinario di Tel Aviv nel 2000 o al Park Hotel di Natanya durante la Pasqua ebraica del 2002, giusto per riportare soltanto qualche esempio) non possiamo non notare la violenza e il cinismo che i terroristi non hanno mai mancato di esercitare. Anche contro i loro stessi fratelli.
Non si può non ricordare il linciaggio di Ramallah, quando una popolazione inferocita fomentata e aiutata dai poliziotti di Arafat massacrò due giovani soldati israeliani capitati lì per sbaglio. I due poveretti furono poi defenestrati, legati ai paraurti di due auto e trascinati per la città fino al totale dilaniamento. Durante la carneficina telefonarono alla moglie di una delle due vittime per farla assistere alle sofferenze del marito e infine uno degli assassini orgogliosamente mostrò come trofeo le proprie mani e i vestiti intrisi di sangue. La diffusione delle immagini di questa carneficina spinse il giornalista Riccardo Cristiano a scrivere e far pubblicare una lettera nella quale assicurava l’Autorità palestinese che la televisione italiana, la RAI, non avrebbe mai messo in cattiva luce l’Autorità stessa e ribadiva la sottomissione della sua azienda ai diktat palestinesi.
Episodi simili si sono verificati anche nella lotta interna fra Hamas e Fatah all’indomani del ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza. Lo stesso Musab Hassan Yussuf, figlio di uno dei leader di Hamas, passò a collaborare con gli israeliani perché disgustato dalla brutalità e dalla disumanità dei suoi familiari e “colleghi”.
Se in Europa non sono ancora arrivati a simili mattanze (con l’eccezione del povero Ilan Halimi che fu rapito e torturato per 24 giorni, solo perché ebreo, per poi abbandonarlo morente sul ciglio di una strada), abbiamo avuto però un assaggio di terribili stragi come quelle di Buenos Aires nel 1994, e di Parigi, nella discoteca del Bataclan, nel supermercato kasher e nella redazione di Charlie Hebdo.
Sebbene non ci furono vittime, una certa carica devastante la si poté notare sia nella distruzione delle serre e nei roghi delle sinagoghe di Gaza o della Tomba di Giuseppe, all’indomani del ritiro israeliano, sia anche nello scempio che sempre i terroristi palestinesi compirono nella Basilica della Natività. Così scrisse il giornalista Toni Capuozzo che fu preso in ostaggio insieme ai religiosi: “Li vidi entrare, e capii, da come si abbracciavano che non festeggiavano un riparo improvviso raggiunto fra mille difficoltà, ma l’obbiettivo riuscito, dopo averlo immaginato, preparato, cercato. E sentii, come gli altri colleghi, gli spari dal tetto della Basilica, indirizzati verso gli israeliani, perché rispondessero, secondo uno schema già impiegato a Beit Jalla, da dove i miliziani sparavano, appostati nelle case delle famiglie cristiane, e poi se la davano, sperando in una cannonata che avrebbe fatto fremere l’opinione pubblica mondiale. (…) nessun europarlamentare scrisse mai una controinchiesta, né alcun osservatore notò in quegli avvenimenti il preannuncio di una deriva fondamentalista tra i palestinesi, e di un rapporto con i cristiani di Palestina molto meno liturgico di quegli appuntamenti fissi di Arafat alla messa di Natale (...)”
Nonostante dunque siano ormai decenni e centinaia gli episodi che vanno tutti nella stessa direzione, molti nel mondo continuano a giustificare l’inciviltà e la disumanità dei gruppi musulmani fondamentalisti. O peggio, a mettere viscidamente sullo stesso piano chi perpetra questi massacri e chi tenta di arginarli o difendersi da essi.
Finché le riflessioni di Heinrich Heine il quale scrisse nel 1933: “Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini” (e ai libri oggigiorno si potrebbero aggiungere i luoghi di culto, di accoglienza, di svago o di inclusività) e di Martin Niemöller che pronunciò il famoso sermone: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare" verranno ancora largamente ignorate, gli esseri umani continueranno a commettere sempre gli stessi errori e sempre troppi saranno gli innocenti che ne pagheranno le terribili conseguenze.
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