CronacaLa mamma di Noam incontra il bimbo che ha ora il rene del figlio
di Alessandra Boga
La settimana scorsa abbiamo raccontato della vicenda del piccolo Noam Naor, il bimbo israeliano di 3 anni morto per essere caduto accidentalmente dalla finestra di casa e il cui rene è stato donato dai suoi genitori ad un bambino palestinese di 10 anni in dialisi. Gesti frequenti da parte degli israeliani nei confronti dei palestinesi, sebbene poco noti.
Ebbene, giovedì scorso, Sarit, la mamma di Noam, ha voluto visitare questo bambino e la sua famiglia. Il commovente incontro è stato immortalato dal canale israeliano Channel 2.
Sarit Naor ha dichiarato quanto sia stata “profondamente grata” di avere la possibilità di incontrare il bambino e i suoi genitori. “Gli auguro solo salute e di guarire”, ha detto. “E’una benedizione per me, mi dà grande conforto”.
Il vero nome del bambino palestinese non è Mohamed, come avevamo scritto nel precedente articolo, ma Yakoub, Yakoub Ibhisad. Ha subito la dialisi per sette anni (cioè da quando ne aveva 3, l’età di Noam), facendo la spola tra la sua casa in Samaria (nota erroneamente come "Cisgiordania") e il Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme: fino alla donazione, la settimana scorsa, del rene del bambino israeliano tragicamente scomparso.
Alla richiesta del Ministero della Salute dello Stato ebraico di donare l’organo al piccolo palestinese, il padre di Noam ha risposto, dopo un attimo di esitazione: “Non importa chi riceve il rene, se un minor numero di bambini avrà bisogno di sottoporsi al trattamento di dialisi”.
Dal canto suo il padre di Yakoub ha dichiarato di non avere parole per quel gesto di generosità. Forse (si spera) è per tale ragione che, a qualcuno, sono sembrati freddi i genitori del bambino palestinese durante l’incontro: imbarazzati e stupiti che dei “nemici”, abbiano aiutato il loro piccolo con una parte del corpo del proprio figlioletto morto? O forse ancora inchiodati alla logica bellica che impone ai palestinesi di vedere tutti gli israeliani come nemici?
Mentre Sarit Naor ha detto ancora: “Sapendo che ho salvato una vita”, e quindi, per gli ebrei, l’umanità intera, “mi dà grande conforto e il potere di andare avanti. Non è stata una scelta facile, ma oggi sono felice di averla fatta”. E, quasi ripetendo le parole del marito, ha aggiunto: “Non importa che sia un bambino palestinese, mi auguro che questo ci porti la pace”. O almeno che questo salvi dall’odio contro Israele una famiglia, un bambino palestinese. Oltretutto anche metà di un verso del Corano (la famiglia Ibhisad è musulmana) recita, riportando il verso talmudico, chi salva una vita, salva l’umanità intera.
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