CronacaAffile: un sacrario inopportuno
di Alessandra Boga
L’11 agosto 2012 ad Affile, in provincia di Roma, è stato inaugurato un imponente sacrario con parco annesso, costato almeno 125mila euro, per commemorare il famigerato gerarca fascista Generale Rodolfo Graziani, che si rese colpevole di terribili violazioni dei diritti umani durante il periodo coloniale in Etiopia, ed ex ministro della Difesa durante la Repubblica di Salò (RSI), epoca nella quale mandò a morte i giovani che rifiutavano la leva. Per suo ordine venne anche condannato all’impiccagione, non prima di essere esibito come un trofeo in catene tra soldati fascisti gongolanti, l’anziano eroe della resistenza libica Omar Mukhtar, il “Leone del Deserto”.
Graziani, che è sepolto nel cimitero comunale di Affile, è stato definito dal sindaco Ercole Viri “un soldato con la maiuscola”. Il mausoleo è stato inaugurato in pompa magna, con taglio del nastro, e la presenza di altre autorità (come l’assessore della Regione Lazio Francesco Lollobrigida), che hanno tenuto un discorso sulla patria, ma ovviamente anche su di lui, il Generale Graziani.
In prossimità del 68° anniversario del 25 aprile, tornano la polemiche politiche e partigiane, che già c’erano state contro la Regione che ha promosso l’edificio in sua memoria. Persino il New York Times e la Bbc sono venuti a conoscenza del fatto. E i neoparlamentari Cécile Kyenge, Manuela Ghizzoni e Paolo Beni (Pd) hanno presentato un’interpellanza al ministro dell’Interno e al ministro per i Beni e le attività culturali contro il sacrario ad Affile.
Persino la scrittrice Igiaba Scego (nata in Italia da genitori somali), che si definisce “orgogliosamente somala, italiana, romana e mogadisciana”, e il cui nonno ha dovuto tradurre, suo malgrado, gli orrori fascisti di Graziani, ha scritto una petizione da indirizzare al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti per dire “no” al monumento, finanziato da denaro che originariamente avrebbe dovuto servire per il completamento di un parco.
La Scego, chiedendo “la demolizione o la riconversione del monumento”, ha ricordato i crimini contro l’umanità di cui si è macchiato Graziani, come “la strage di diaconi di Debra Libanos”, perpetrata appunto in Etiopia, dove furono trucidati dai 1400 ai 2000 giovanissimi monaci e suore; “e l'uso indiscriminato, durante la guerra coloniale del '36, di gas proibiti dalle convenzioni internazionali”.
Inoltre la rappresaglia per lo scoppio di 9 bombe ad Addis Abeba durante una cerimonia per il compleanno di Vittorio Emanuele, nel 1937, causò 4.000 morti.
L’anno successivo, il fatidico 1938, Rodolfo Graziani fu tra i firmatari del “Manifesto della Razza”, le infami leggi razziali.
In seguito, nel 1948, l’Imperatore etiope Hailè Selassiè chiese alle Nazioni Unite e ottenne che l’ex governatore del suo Paese, fosse inserito nella lista nera dei criminali di guerra e il “maresciallo d’Italia” venne messo al primo posto, ma mai processato per l’uso di gas tossici e per i bombardamenti degli ospedali della Croce Rossa. Il 2 maggio 1950 il tribunale militare speciale di Roma condannò Graziani per collaborazionismo a 19 anni di reclusione, ma il gerarca scontò solo quattro mesi.
Per firmare la petizione di Igiaba Scego a Nicola Zingaretti clicka qui
1 commento
- da Marco Sbandi Significativa fu anche la vicenda criminale di Graziani in Libia, con i bombardamenti anche qui con i gas nervini e i lager come quelli di Giado (ben descritto in Uccideteli tutti di Eric Salerno). Un criminale senza alcuna attenuante, la cui commemorazione smentisce la conversione alla civiltà dei finiani.
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