CronacaIsraele, musulmana chiede un arbitro donna per una causa di divorzio. Il tribunale islamico gliela nega
di Alessandra Boga
Pochi sanno che in Israele sono riconosciuti i tribunali islamici, ai quali i cittadini musulmani possono ricorrere perché le loro questioni legali passino attraverso il vaglio della Sharia, la legge islamica.
Così, diciotto mesi fa, una donna musulmana si è rivolta a uno di questi tribunali per chiedere il divorzio dal marito, preferendo però un’altra donna come arbitro. Un’eccezione, visto che, secondo il diritto di famiglia ottomano (nella fattispecie secondo l’art. 130) applicato in Israele dai musulmani per i propri correligionari, sono i giudici uomini ad occuparsene.
Infatti il tribunale islamico ha detto “no”, in ossequio proprio alla tradizione giuridica ottomana (mentre, c’è da scommetterci, lo stesso tribunale si scaglierebbe contro la “promiscuità” in altri casi, imponendo che delle donne si occupino le donne e degli uomini, gli uomini).
La donna che voleva il divorzio, non si è arresa: ha fatto ricorso alla giustizia civile e si è avvalsa anche dell’ausilio di un’associazione femminista araba (Kayan), ma il tribunale shariatico ha risposto di nuovo negativamente.
Ora la vicenda è passata alla Corte Suprema, che ha chiesto le “ragioni” di tale rifiuto e, attraverso il suo avvocato Victor Herzberg, ha accusato il tribunale di sottovalutare le capacità dell’arbitro donna e di violare dunque le leggi israeliane sulla parità di genere. Dello stesso avviso l’associazione femminista Kayan, la quale ha ricordato che, per la scuola hanafita (una delle quattro scuole islamiche) le donne possono essere arbitri nelle questioni giuridiche. Inoltre il procuratore del dipartimento degli affari legali dell’organizzazione, Shirin Batshon, ha puntato il dito contro le discriminazioni di genere praticata nei tribunali islamici.
Ora si attende la risposta dei ligi osservatori della Sharia... Chi avrà l'ultima parola?
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