CronacaSul "Mosè in Egitto" di Pesaro
di Alessandra Boga
Il "Mosè in Egitto" crea polemiche a PesaroAccompagnata da numerose polemiche, giovedì 11 è andata in scena all'Adriatic Arena di Pesaro, all'interno del Rossini Opera Festival, la prima del "Mosè in Egitto" dell'omonimo celebre compositore pesarese, a cura del regista inglese Graham Vick, in replica fino al 20 di agosto.
Una rappresentazione molto sui generis, con riferimento alla tragedia dell'11 settembre e all'insoluto conflitto tra ebrei e arabi, come fu all'epoca tra il popolo ebraico, schiavo liberato da Mosè, e il Faraone d'Egitto, ben prima della conquista arabo-musulmana.
Il Mosè di Vick invoca il "soglio stellato" appoggiandosi al parapetto di un palazzo arabo, dove si immagina viva il sovrano egizio. Trovata molto d'impatto, soprattutto perché il condottiero biblico designato da Dio per liberare il popolo ebraico, è vestito come Bin-Laden, porta la tipica barba del terrorista saudita e tiene in mano una mitragliatrice.
Lo scenario è quello degli attentati dell'epoca strettamente attuale, c'è un accampamento, il Mar Rosso è il famoso "muro" tra israeliani e palestinesi (una barriera di sicurezza per gli uni, una vergognosa separazione che ricorda l'Apartheid sudafricana per gli altri) e compare la scritta "free Israel", "Israele libero", com'è stato liberato millenni fa da Mosè.
Gli sgherri del tirannico Faraone sono in modernissime mimetiche e fucile, i cortigiani indossano una tunica ed un'arabissima kefiah, gli schiavi ebrei si addestrano pronti a farsi esplodere come kamikaze e le umiliazioni che subiscono rimandano alle torture di Abu Ghraib. Non mancano nemmeno riferimenti alla Cecenia.
Ci sono addirittura comparse vestite da palestinesi che si sparpagliano tra il pubblico a chiedere notizie dei loro cari scomparsi, foto alla mano e soldati israeliani con mitra in mano.
L'opera si conclude con un carro armato, sul quale è issata la bandiera d'Israele, che stermina gli egiziani e un soldato ne esce per correre verso un bambino arabo e porgergli una barretta di cioccolato, mentre il piccolo nasconde una bomba. Durante una scena con maschere antigas, qualcuno dal loggione si è alzato per gridare "Vergogna!" e persino la polizia è dovuta intervenire a sedare la "rivolta" di spettatori indignati tra fischi e "buuu".
Non è piaciuta l'"equidistante" sferzata ad israeliani e palestinesi, ad ebrei e musulmani ed il regista inglese è stato accusato di antisemitismo.
Il senatore del Pdl Massimo Palmizio ha chiesto un'interrogazione parlamentare al Ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan e la soprano di origini israeliane Hila Baggio ha lasciato la sala subito dopo il primo atto.
Ha espresso il suo sdegno anche il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna: "In tutte le epoche è accaduto che l'arte sia stata usata come mezzo di diffusione di idee e di ideologie. Anzi, spesso l'arte è stata un formidabile strumento di propaganda ideologica, un'affascinante combinazione di contenuto e di bellezza. Ma l'assunzione di un tale ruolo comporta gravi pericoli e l'arte rischia di pagare un prezzo molto alto scendendo nell'agone politico se non altro perché tutto ciò che è politico è opinabile e complesso e non si presta ad essere raccontato attraverso semplificazioni retoriche che facilmente finiscono per diventare falsificazioni", ha dichiarato. "Proprio questo è il rischio che ha voluto correre l'edizione dell'opera rossiniana Mosè in Egitto rappresentata al Festival di Pesaro e si è così assunta due gravi responsabilità. La prima è di stravolgere i simboli e i valori dell'ebraismo e del cristianesimo sia fornendo un'interpretazione alterata e superficiale dei dieci comandamenti, sia mostrando la figura di Mosè incomprensibilmente rappresentata alla stregua di un terrorista. La seconda è di comunicare una versione faziosa e banalmente manichea degli ultimi decenni della storia del Medio Oriente e dei rapporti tra israeliani e palestinesi".
Sulla stessa lunghezza d'onda la dichiarazione del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, riportata dalle agenzie di stampa, che definisce la rappresentazione di "Vick" "una deformazione che nasce prima di tutto dall'ignoranza, è un totale sovvertimento dei dati, che ignora alcuni concetti fondamentali. Con quella storia, poi divenuta patrimonio dell'umanità, Dio interviene per liberare il popolo dall'oppressione e la religione non è più asservita al potere ma al servizio dell'uomo. È un grande passo avanti nella storia dell'umanità". Con onestà il rav Di Segni ha proseguito: "I processi di liberazione presuppongono l'uso della violenza. Solo le belle anime possono pensare che il nazismo sarebbe stato sconfitto distribuendo caramelle alle SS..." e ha ricordato che nella tradizione ebraica, alla vigilia di Pesach i primogeniti digiunano "in ricordo della morte dei primogeniti dell'oppressore, del nemico". "Non credo che esistano molte culture nelle quali si digiuna per la morte del nemico", ha protestato infine.
Anche Famiglia Cristiana stronca la rappresentazione, con il titolo "Mosè non è Bin-Laden". Il settimanale dei Paolini parla di un "discutibile accostamento fra i due personaggi" in cui "la denuncia contro i fondamentalismi forza troppo la realtà storica". D'altra parte lo stesso regista non manca di ammettere candidamente che, a suo avviso, Mosè "riassume in sé tutti i fondamentalismi".
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