Attentatrici palestinesi: vittime degli uomini o

AttualitàAttentatrici palestinesi: vittime degli uomini o "semplici" terroriste?

di Alessandra Boga

Il giornale online YnetNews riporta una rivelazione di Nadav Argaman, direttore generale  dello Shin Bet (i servizi di sicurezza israeliani), che  recentemente ha presentato alla Commissione esteri e difesa della Knesset un rapporto dal quale emerge per la prima volta che delle oltre 40 donne palestinesi (o anche arabo-israeliane) che hanno compiuto o cercato di compiere attentati contro Israele ed i suoi cittadini in questo periodo, quasi tutte lo hanno fatto per “ristabilire l’onore della propria famiglia”, che esse avrebbero infangato per esempio commettendo adulterio.

Più di una volta sono state addirittura portate sul luogo dell’attacco da parenti maschi, che non permettevano loro di tirarsi indietro. Hanno agito da sole e nella maggior parte dei casi per conto di Hamas, come prevalentemente solitari e membri di Hamas erano i terroristi entrati in azione quest’ultimo periodo. Naturalmente con il loro gesto queste donne hanno potuto “ripristinare l’onore della famiglia”, ma anche garantire a quest’ultima una bella sommetta da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Quello di trasformare delle donne in terroriste per motivi d’onore – una sorta di delitto d’onore compiuto in modo più sofisticato ed “elegante” – , non è un fenomeno degli ultimi tempi. Se n’era già parlato in casi come quello di Wafa Idris, 28 anni, residente vicino a Ramallah, sostanzialmente laica e nazionalista e diventata una terrorista suicida il 27 gennaio 2002. Senza padre, Wafa venne allevata dal fratello, il quale la diede in sposa ad un cugino quando lei aveva soltanto 16anni. Nove anni più tardi, su pressione della famiglia, il marito la ripudiò perché era sterile e lei non si sarebbe potuta risposare: diventare una “martire” della causa palestinese, sembrò l’unica "soluzione onorevole". Successivamente ci fu il caso di una giovane mamma di Gaza City, Reem  Riyashi, nata in una famiglia benestante nel 1982, attentatrice suicida il 14 gennaio 2004. Fu la seconda donna terrorista con  bambini (una di 3 anni e l’altro di 18 mesi) e prima in assoluto inviata da Hamas per una missione di quel tipo – l’organizzazione estremista islamica temeva che, dopo che la donna si era fatta esplodere, si vedessero le sue parti intime! – la Riyashi uccise quattro israeliani, e ferì altre 11 persone di cui 4 palestinesi, presso il valico di Erez. Hamas e le Brigate dei Martiri di al-Aqsa – braccio armato di al-Fatah, l'organizzazione di Mahmoud Abbas o Abu Mazen –  dichiararono che aveva scelto il “martirio” per “vendicare” un’incursione israeliana in cui rimasero uccisi circa 25 palestinesi. I giornali israeliani, invece, dissero che Reem avrebbe ricevuto l’ordine di farsi saltare in aria per “riscattare” i suoi cari, dopo aver commesso adulterio con un membro di Hamas - successivamente ucciso dall’esercito israeliano – dal quale sarebbe anche rimasta incinta. Il “consiglio” sarebbe giunto dal capo di Hamas, Ahmed Yassin, in persona; addirittura l’amante avrebbe dato alla giovane mamma la cintura esplosiva e il marito l’avrebbe accompagnata sul luogo dell’attentato. I genitori della terrorista respinsero decisamente quest’accusa, affermando che “diffamava” il gesto della loro figlia.

Tempo dopo i bambini di Reem vennero invitati ed intervistati ad una trasmissione televisiva, il cui video venne pubblicato da MEMRI: al bimbo più piccolo fu chiesto quanti ebrei avesse ucciso la mamma e lui, con un sorriso timido, fece il segno con le dita. Il video di Reem che davanti alla figlia maggiore si prepara a partire, abbandonandola “per amore della Palestina”, venne mostrato come esempio in un’altra trasmissione televisiva per bambini.

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